Sul Riformista: Andrea Di Consoli su Italia De Profundis

Giuseppe Genna - ITALIA DE PROFUNDIS - minimum faxIl sito ufficiale
ITALIA DE PROFUNDIS su minimum fax
I booktrailer: 1234
Acquista Italia De Profundis su iBS o su BOL.
Andrea Di ConsoliAndrea Di Consoli è un intellettuale a tutto pieno: operatore dell’editoria, impegnato in radio, critico (anni fa lessi stupefatto Le due Napoli di Domenico Rea), poeta (La navigazione del Po mira a un’indistinzione riuscitissima di epica e lirica), ma soprattutto romanziere (con impianto anche sociologico la sua “raccolta” Lago negro, via via facendo emergere uno stile e un sentimento della forma che in Italia è sempre più raro, da Il padre degli animali a La curva della notte, che ne fanno l’autore di punta della narrativa Rizzoli). Non conosco personalmente Di Consoli, ma vorrei pubblicamente ringraziarlo per quanto scrive sul Riformista a proposito di Italia De Profundis.
Per quanto mi concerne, non ho mai ricevuto una recensione del genere . Al di là delle valutazioni in positivo, intendo, che qui si manifesta uno sguardo fraterno, si stabilisce un luogo di condivisione. Tale luogo di condivisione, mi sembra, si sta allargando sempre più tra gli scrittori italiani. Ciò che Di Consoli vede in IDP è, conoscendo l’opera dell’autore di origine lucana, qualcosa di intimamente anche suo, e di altri. L’insistenza sull’archetipo del “Padre” credo indichi una via di autoconsapevolezza di cui, soprattutto in Rete, si sta discutendo intensamente.
Oltre ai ringraziamenti, pubblico la versione integrale dell’articolo di Andrea Di Consoli.

Il de profundis di Genna per un’Italia in metastasi
Autopsia di se stesso – In questo romanzo viscerale, l’autore sovrappone la morte materiale dei padri a quella spirituale del Paese. Davvero nulla ci salverà dall’agonia?
di ANDREA DI CONSOLI
[da il Riformista]
Italia De Profundis (Minimum Fax, 348 pagine, 15,00 euro) di Giuseppe Genna (Milano, 1969) è un libro grandioso. E’ un’eruzione vulcanica, un’opera monstre, una potentissima deflagrazione dei saperi, dei generi letterari e della psiche. Non s’era mai letto un libro così potente, in Italia; un libro, cioè, dove ci fosse tutta la nostra contemporaneità: la depressione, l’ipocondria, l’ansia, la morte, l’amore, il sesso, il sadomaso, la disoccupazione, la letteratura, Milano, Palermo, le periferie, il lumpenproletariat milanese, l’eroina, l’autobiografia, la finzione, il villaggio turistico siciliano, la morte del padre, un’orgia transessuale, il sapere enciclopedico, il cinema, la Mostra di Venezia, David Lynch, Mantova, Berlino, Burroughs, Kafka, il narcisismo, l’autopunizione, l’agonia, l’eutanasia, il disprezzo, la pietà, gli ospedali, la psichiatria, il corpo, la difficoltà di amare e la sperdutezza. E’ un’opera-mondo, questa di Genna, sia pur costruita (felicemente) intorno a spedizioni punitive e conoscitive nei paraggi della propria vicenda personale. Il Genna che si sviscera e si scortica in pubblico, che pratica su di sé “installazioni”, e sperimenta sulla propria pelle pensieri e parole di inaudita intelligenza estremistica, è un Genna di intensità ed espressività ineguagliabile (che qui tocca il suo vertice). Questo libro è una totalità in cui l’autore milanese mette in scena se stesso, con pietà e con furore, in pagine di sconvolgente “indentramento”. Ogni parola, in questo libro, ha un costo altissimo (personale). Si parla, sia pure sotto l’effetto allucinogeno ed esaltante di una divina retorica, e di un mirabolante stile bellico e rabdomantico, di due cadaveri (l’autore, e l’Italia) che Genna scruta e “canta” con estrema freddezza autoptica. Genna fa autopsie poetiche. La superficie delle sue parole è calda di febbre, ma dentro, nel cuore di questo libro, c’è freddezza: la freddezza di chi percorre cunicoli e vene nascoste perché sente come scrittore il dovere di dire tutto, di sapere tutto, di non nascondere niente. Perché la verità, pare suggerirci Genna, bisogna guardarla negli occhi, anche quando si presenta sotto forma di orrore sociale, di malattia, di agonia: di cadavere. E non c’è mai moralismo, nel suo squallido attraversamento delle viscere della nostra Italia (lo dice lui stesso: Genna non è come D.F. Wallace, che si “nascondeva” nella letteratura). Genna espone ai miasmi della decomposizione la stessa letteratura, che ovviamente soffoca, e rischia di collassare. Italia De Profundis è un “canto” disperato e viscerale sull’Italia, e su un italiano preciso che si chiama Giuseppe Genna (protagonista del libro); un essere colmo di saperi ma privo di amore, un uomo che cerca la psiche e scopre (ripeto, a proprie spese) che la psiche è nel corpo “ferito a morte”; un essere che sa travestirsi, mistificare, depistare, esagerare, ricordare e dimenticare, cambiare, lamentarsi, commuoversi, ammalarsi e guarire, e che vive in un’accelerazione dei punti di vista che somiglia molto all’accelerazione impazzita delle cellule tumorali. Un libro, Italia De Profundis, sulla principale malattia dell’Italia contemporanea: il cancro. Su questo mostro che nasce dentro, e che si mangia il corpo vivo: un male spirituale, per Genna, un male dell’anima. Infatti il libro inizia con il racconto atroce della morte del padre (per cancro ai visceri); e racconta dell’agonia per cancro del padre della “fidanzata”. E’ come se Genna volesse dirci: l’Italia che ci è stata data è malata, e noi siamo figli di questa malattia. Ecco, Genna fa un lamento da “figlio”, sia pure incistandolo su un corpo da vecchio. La gioventù di Genna nasce già terminale e postuma; e fa rese dei conti senza aver vissuto a pieno quel che la vita sembrava promettere. C’è tutto, in questo libro: il disprezzo italiano per la poesia, la devastazione del paesaggio, la nevrosi somatoforme, la paura, l’odio, l’amore impossibile, l’autodistruzione commossa, una vita rapinosa vissuta al cardiopalmo. Tutte cose che imprimo alla scrittura di Genna “deformazioni” incredibili: ora più narrative e distese, ora più violente, fino agli esiti extreme dell’implosione totale (ci sono intere pagine quasi “illeggibili”). Qui non siamo più nella complessità moderna, ma nell’ultracomplessità caotica dei moventi, dei saperi, dei sentimenti, delle ragioni e dei torti. Un libro che fa male. Che punge come un siringa infetta. Che odora di quartieri periferici. Che odora di malattia: l’atroce malattia chiamata Italia, nel sintomo specifico chiamato Giuseppe Genna.