SABATO – Lorenzo Jovanotti Cherubini – Video Ufficiale

Più ascolto “Sabato” di Jovanotti e più penso che sia uno di quei casi in cui il pop è arte. Ci sento di tutto e tutto è intensissimo, a partire dal testo, che mi sembra letterariamente interessante, a scarti fortissimi e sospensioni violente (“… due farfalle appena // venute fuori dal bozzolo sulla scena…”), con lo strascicarsi delle sillabe e degli accenti, che si accavallano sopra al gioco della lingua giovanile e al contempo “idealmente bassa” (“è troppo sabato qui”), che viene allacciando la provincia all’immaginario spaziale, con una piroetta capace di ricordarmi queste due zone radioattive del mio pantheon pop: alcuni racconti di Kafka e i Kraftwerk. Il riff elettronico mi è entrato in testa tre mesi fa e non se ne è più andato. Quella grana vocale, più elettrica che elettronica, dovuto a uno sdoppiamento della voce stessa, con una pista bassa e una acuta ma velata da una nebbiosità fonica: non sortisce un effetto bellissimo di stasi e movimento, di faticosa gioia e lutto profondo? E l’immaginario, a cui si dà una staffilata con l’evocazione familiare di Michael Jackson in “Bad”, non fa per caso varcare nella waste land della perdita di ciò che ci è sempre sembrato recente? In effetti era l’ultima stagione dell’immaginario unificato, quella a cui Lorenzo Cherubini si appoggia. Anche la danza dello stesso Jovanotti, quell’ambientazione da luna park: non sta a cavallo di molti tempi e molti mondi? Quanto di noi e di Stephen King e della cinematografia cinematografica e televisiva c’è in quegli scorci? Perché emerge una luce brunastra e una foschia luminosa diffusa, su quei costumi sorprendenti? Provo a dire una corbelleria, ma siccome sento così io la dico: guardo questo mio coetaneo muoversi, resto turbato e incantato, al modo stesso in cui guardavo Laurie Anderson slogarsi nel video minimalista di “O Superman”, e questo accade perché lo sfondo lieve e rauco della componente vocale *a me* sembra lo stesso, così come i cromatismi: c’è del livido assorbito in questo chiaroscuro. Questa canzone sembra parlare dell’oggi (il video, con la questione gender più o meno al centro, conduce proprio a oggi) e invece per me parla di tutte le giovinezze dai Cinquanta del Novecento a oggi: è diverso. Questo brano è una performance. Le performance sono acuzie del tempo e del luogo, che significano una universalità: si sentono i tempi, le folate emotive, gli stati d’animo, quelle musicalità strinate che dicono che il mondo non è quello che sembra eppure è anche quello che sembra. Se penso all’opera pop allestita da Jovanotti in tutti questi anni, a me viene da dirgli: grazie.
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