Ken Wilber: Dissociazione e disidentificazione

Ken-Wilber

La Meditazione e l’Ombra – Dissociazione e Disidentificazione
di KEN WILBER | da “Integral Spirituality” (Integral Books, 2006)

Trascendenza Sana: dall’Io al Me

Qui è dove la storia entra in collisione con la meditazione e la contemplazione. Quello che questi “studiosi dell’ombra” occidentali hanno scoperto, come abbiamo osservato, è che nei primi stadi di sviluppo, parti dell’io (parti della soggettività: “io”) possono essere scissi o dissociati. Quando questo accade queste parti dell’io appaiono come ombra e sintomi, e diventano “essi” (cioè aspetti dell’io appaiono come “essi”, oggetti esterni). Quando c’è repressione, è ancora possibile sperimentare la rabbia, ma non è più possibile sperimentare la proprietà della rabbia.
La rabbia, iniziata come un “io”, è adesso un “esso” nella mia consapevolezza, e posso praticare la meditazione vipassana su questa rabbia-oggetto quanto voglio, sia che utilizzi la “pura attenzione” sia che osservi semplicemente che “emerge rabbia, emerge rabbia, emerge rabbia” – ma tutto quello che potrò fare è solo affinare e intensificare la mia consapevolezza della rabbia in quanto “esso”. Gli sforzi meditativi e contemplativi di fatto non riescono a raggiungere il problema originario, cioè il fatto che c’è un fondamentale problema di proprietà-confine. Disfarsi del confine, come aiuta a fare la meditazione, semplicemente nega e sospende il problema sul piano dove esso è reale. Esperienze dolorose hanno dimostrato spesso che la meditazione non  risolve l’ombra originaria, può invece spesso esacerbarla.
wilber_integral_spiritualityVisti tutti i meravigliosi benefici della meditazione e della contemplazione, è ancora problematico ammettere che persone che meditano da lungo tempo possiedono ancora importanti elementi di ombra. Dopo 20 anni di meditazione hanno ancora quegli elementi di ombra. Forse è perché, come quelle persone rivendicano, non hanno ancora meditato abbastanza. Magari altri 20 anni? O forse il fatto è che la meditazione non riesce a risolvere quel problema…
Qui è dove il modello AQAL (tutti i quadranti, tutti i livelli, tutti gli stati, tutti i tipi) permette di concettualizzare questa importante questione. Consideriamo uno sviluppo normale o sano. Robert Kegan, riportando quello che in generale sostengono i teorici dello sviluppo, ha sottolineato che il processo fondamentale dello sviluppo può essere espresso come segue: il soggetto di uno stadio diventa l’oggetto dello stadio successivo.
Così, per esempio (e parlo in termini molto generali),  se sono allo stadio rosso dello sviluppo (magico/mitico, egocentrico, preoperativo), questo significa che il mio “io” – il soggetto – è completamente identificato con il rosso, tanto che io non posso vedere il rosso come un oggetto, ma lo uso come soggetto con il quale e attraverso il quale vedo il mondo. Ma quando passo allo stadio successivo, lo stadio ambra (mitico, convenzionale, conformista, operativo concreto) allora l’io-rosso diventa un oggetto della mia consapevolezza, che è adesso identificata con l’ambra – quindi, il mio soggetto-ambra adesso vede gli oggetti rossi, ma non può esso stesso essere visto. Se pensieri e impulsi relativi allo stadio rosso emergono nello mio spazio-dell’io, li vedrò come oggetti del mio io (adesso identificato con lo stadio ambra). Quindi, il soggetto di uno stadio diventa l’oggetto del soggetto dello stadio successivo, e questo è proprio il processo fondamentale dello sviluppo. Per usare i termini di Gebser: l’io di uno stadio diventa lo strumento dello stadio successivo.
Per quanto questo sia genericamente corretto, non ci racconta tutta la storia. Questo è un modo in terza-persona di concettualizzare il processo; ma nei termini diretti della prima-persona, non accade semplicemente che il soggetto di uno stadio diventa l’oggetto del soggetto dello stadio successivo, ma che l’io di uno stadio diventa il me dell’io dello stadio successivo.
Cioè, in ogni stadio di un sano-sviluppo-dell’io, la prima-persona soggettiva diventa la prima- persona oggettiva (o possessiva) nel mio spazio-io: “io” divento “me” (o “mio”). Il soggetto rosso diventa oggetto del soggetto ambra, che a sua volta diventa oggetto del soggetto arancione, che a sua volta diventa oggetto del soggetto verde, ecc. – ma oggetti che sono posseduti – non solo oggettivi, ma oggettivi o possessivi della prima-persona. Non puramente “oggetti di un soggetto”, ma i miei oggetti del mio soggetto (cioè, io divento me o mio).
Quindi, per esempio, una persona potrebbe dire, “Io ho pensieri, ma io non sono i miei pensieri, io ho sensazioni, ma non sono le mie sensazioni” – la persona non è più identificata con essi in quanto soggetto, ma ancora li possiede come un oggetto – cosa che è sana, perché essi sono ancora posseduti come “miei pensieri”. La proprietà è cruciale. Se io di fatto pensassi che i pensieri nella mia testa fossero i pensieri di qualcun altro, questa non è trascendenza, ma grave patologia. Lo sviluppo sano, dunque, è la conversione della prima-persona soggettiva (“io”) in prima-persona oggettiva o possessiva (“me” o “mio”) nello spazio-dell’io. Questa è la forma propria della trascendenza e della trasformazione sana: l’io di uno stadio diventa il me dell’io dello stadio successivo.

Trascendenza Patologica: dall’Io all’Esso

Mentre lo sviluppo sano converte l’io in me, lo sviluppo patologico converte l’io in esso. Questa è una delle scoperte più significative di una prospettiva AQAL. Coloro che studiano la psicologia della meditazione sono consapevoli da molto tempo di due fatti importanti che appaiono del tutto contraddittori. Il primo è che nella meditazione l’obiettivo è quello di distaccarsi o dis-identificarsi da qualsiasi cosa emerga. La trascendenza è stata a lungo definita come un processo di dis-identificazione. E agli studenti di meditazione era di fatto insegnato a dis-identificarsi con qualsiasi “io o me o mio” si manifestasse.
Ma il secondo fatto è che nella patologia, vi è una dis-identificazione o dissociazione di parti dell’io (self), quindi dis-identificarsi è il problema, non la cura. Allora, devo identificarmi con la mia rabbia o disidentificarmi da essa?
Entrambe le cose, ma i tempi sono tutto – i tempi dello sviluppo, in questo caso. Se la mia rabbia emerge alla consapevolezza, ed è autenticamente sperimentata e posseduta come la mia rabbia, allora l’obiettivo è continuare la dis-identificazione (lasciare andare la rabbia e l’io che ne fa esperienza – così da convertire l’io in un “me”, cosa che è sana). Ma se la mia rabbia emerge nel campo della consapevolezza come la tua rabbia o la sua rabbia o una rabbia-esso – ma non la mia rabbia – l’obiettivo è prima identificarsi e possedere di nuovo la rabbia (convertendo quella “rabbia-esso” o “rabbia sua” in terza-persona in “Rabbia Mia” in prima-persona – e veramente possedere la dannata rabbia) – e in seguito ci si può dis-identificare dalla rabbia e dall’io che la sperimenta (convertendo la prima-persona soggettiva “io” nella prima-persona oggettiva “me” – che è la definizione di un processo sano di “trascendere e includere”). Ma se come prima cosa non intraprendiamo questa riappropriazione dell’ombra, allora la meditazione sulla rabbia non fa che aumentare l’alienazione – la meditazione diventa “trascendere e negare”, che è esattamente la definizione dello sviluppo patologico.
Questa è proprio la ragione per cui persino meditatori avanzati hanno talmente tanto materiale relativo all’ombra che non sembra potrà essere integrato. E tutti possono vederlo chiaramente tranne loro. Nella “Oprahizzazione” dell’America una recente tendenza vede maestri di meditazione che si riuniscono e parlano senza posa di questioni relative alla loro ombra, dimostrando che possono portare una grande attenzione e “chiara visione” alla loro ombra, senza però curarla.
Il punto è che questi due fatti che riguardano il “distacco” o la “dis-identificazione” che sembravano prima così sconcertanti possono facilmente essere espressi in modo sintetico nei termini della prospettiva AQAL come segue: lo sviluppo sano converte l’io in me; lo sviluppo patologico converte l’io in esso. La prima affermazione esprime la disidentificazione sana o il distacco sano; la seconda esprime la disidentificazione malata o la dissociazione patologica o la trascendenza patologica o la repressione.
E’ chiaro allora – se sintetizziamo la discussione in questo modo – che lo sviluppo sano e la trascendenza sana sono la stessa cosa, dal momento che lo sviluppo è “trascendere e includere”. Il soggetto di uno stadio diventa l’oggetto del soggetto dello stadio successivo, quindi possedendo ma trascendendo quel soggetto, finché – in una sequenza ideale – tutti i soggetti e “io” relativi sono stati trascesi e c’è soltanto il puro Testimone o il puro Sé, lo spazio aperto nel quale parla lo Spirito.
Più particolarmente, abbiamo visto che in ogni stadio di sviluppo dell’io, l’io o soggetto di uno stadio diventa il “me” dell’io dello stadio successivo. Poiché ogni io diventa me, un nuovo e più elevato io prende il loro posto, finché c’è soltanto l’Io-Io, o il puro Testimone, il puro Sé, puro Spirito o Grande Mente. Quando tutti gli “io” sono stati convertiti in “me”, sperimentalmente non rimane altro che l’Io-Io ( Ramana Maharshi lo chiamava: l’Io che è consapevole dell’Io), il puro Testimone che non è mai un oggetto visto ma sempre il puro Colui Che Vede, il puro Atman che è non-atman, il puro Sé che è non-sé. Io divento me finché c’è solo Io-Io, e l’intero mondo manifesto è “mio” nell’Io-Io.
Ma, in ogni punto di questo sviluppo, se la proprietà di alcuni aspetti dell’io viene negata, essi appaiono come un esso, e questa non è trascendenza, questa è patologia. Negare la proprietà non è dis-identificazione, ma negazione. E’ il cercare di dis-identificarsi da un impulso prima che sia riconosciuto e sentito, e questa non appropriazione produce sintomi, non liberazione. E una volta che si è prodotta la non appropriazione, il processo di disidentificazione e di distacco della meditazione la renderà probabilmente ancora peggiore, ma in ogni caso non raggiungerà la causa più profonda.

Illuminazione orizzontale e verticale

Facciamo una pausa per intercalare un’importante questione sulla quale ritorneremo tra breve, ma che merita di essere menzionata qui. Abbiamo visto che il modo più adeguato di sintetizzare l’Illuminazione è: diventare uno con tutti gli stati e stadi disponibili. Questa definizione include quello che possiamo definire Illuminazione verticale – o diventare uno con tutti gli stadi (in qualsiasi epoca storica data) – e Illuminazione orizzontale – o diventare uno con tutti gli stati (grossolano, sottile, causale, non duale).
Notiamo che la nostra raffinata definizione (o “doppia definizione”) dell’Illuminazione si adatta perfettamente a tutto quello che abbiamo visto circa lo sviluppo. Essere completamente Illuminato significa essere uno con – trascendere e includere – tutti gli stadi e stati, e questo significa: Tutti gli stadi e stati sono stati fatti oggetto della vostra soggettività, o tutti gli “io” sono diventati “me” dell’io successivo finché c’è solo Io-Io, e l’intero mondo è il vostro oggetto che poggia tranquillamente sul palmo della vostra mano. Vi siete disindentificati da tutto e siete diventati uno con tutto, trascendendo e includendo l’intero Kosmo.
Se avete realizzato un’Illuminazione orizzontale – se avete fatto di tutti gli stati grossolani, sottili e causali l’oggetto del vostro Testimone – questo è, per così dire, metà Illuminazione. Ma se il vostro sviluppo verticale è, diciamo, soltanto allo stadio arancione, allora voi siete uno con tutto gli stadi precedenti fino all’arancione ( avete trasceso e incluso gli stadi magenta, rosso, ambra e arancione), ma si stendono davanti a voi o sopra di voi le strutture del verde, turchese, indaco e violetto… Queste sono strutture reali del Kosmo che esistono in quest’epoca storica ma che voi non avete ancora attraversato, con cui non siete ancora diventati uno (che non avete ancora trasceso e incluso), e quindi ci sono aspetti dell’universo con cui voi semplicemente non siete ancora diventati uno. Queste strutture (in questo caso, da verde a violetto) sono, abbastanza letteralmente, “sopra la mia testa”, e se il mio sviluppo non include ancora queste strutture del Kosmo, questi livelli di coscienza, questi strati dell’emanazione stessa dello Spirito, allora non sono veramente uno con tutte le manifestazioni dello Spirito in questo momento storico – di fatto si tratta di aspetti del mio proprio Sé più profondo – e quindi non posso pretendere di essere completamente Auto-Realizzato…
Allora, la completa Auto-Realizzazione o la completa Illuminazione richiede entrambe le Illuminazioni: la verticale riferita agli stadi e l’orizzontale riferita agli stati – trascendendo tutti gli stadi e stati (essi diventato oggetti del mio infinito soggetto, diventano “me” dell’Io-Io o Testimone) e includendo tutti gli stadi e stati (l’intero Kosmo diventa “mio” nella consapevolezza non duale), così che tutti i soggetti e tutti gli oggetti emergono nel grande gioco del Sé Supremo che è l’Io-Io di questo e di ogni momento.

Meditazione e Ombra

Ritorneremo su questa fondamentale questione, ma ora finiamo la nostra saga dell’ombra.
La meditazione, con tutte le sue meraviglie, non può arrivare all’originario problema dell’ombra, che è un problema di possesso di confini. Nel corso dello sviluppo e della trascendenza – orizzontale o verticale che sia – quando l’io di uno stadio diventa il me dell’io dello stadio successivo, se, in qualsiasi punto dello svolgimento della sequenza, vi è stata una disidentificazione prematura da aspetti dell’io – come una negazione difensiva o una non appropriazione (che avviene nell’io prima che diventi “me”, o prima che sia stato veramente trasceso) – allora quegli aspetti vengono dissociati dall’io e appaiono come “tu” o persino come “esso” nella mia consapevolezza (non come me/mio nella mia consapevolezza), e dunque il mio mondo oggettivo contiene due intere classi differenti di oggetti: quelli che sono posseduti correttamente e quelli che non lo sono.
E questi due tipi di oggetti sono fenomenologicamente indistinguibili. Ma uno di questi oggetti è di fatto un soggetto nascosto, un io nascosto, un impulso dissociato (nei casi avanzati, una subpersonalità) che è stata separata del mio io, e quindi questo io-nascosto non può mai essere veramente trasceso perché è un’identificazione inconscia o un attaccamento inconscio (non può essere veramente trasceso perché non può diventare un me del mio io, perché il mio io non ne è più proprietario). Quindi, quando testimoni la rabbia, è la tua rabbia o la rabbia-esso o la sua rabbia, ma non la mia rabbia. Questa rabbia-ombra, che emerge come un oggetto nello stesso modo in cui accade per ogni altro oggetto nella mia consapevolezza, è di fatto un soggetto nascosto che è stato scisso, e semplicemente testimoniarlo come un oggetto ancora e ancora e ancora non fa che rinforzare la dissociazione.
La rabbia-ombra è, quindi, una fissazione che non sarò mai capace di trascendere adeguatamente. Per trascendere la rabbia-ombra, l’ “esso” deve prima tornare a far parte dell’ “io”. E poi quell’io può diventare “me/mio”, da cui ci si può veramente e realmente disidentificare, che si può lasciar andare e trascendere. Entrare in contatto con questo problema psicologico e riappropriarsi degli aspetti dell’io non posseduti, è la croce della therapia, o terapia, ed è la parte centrale di ogni approccio integrale alla psicologia e alla spiritualità.
Questo può essere sintetizzato molto rapidamente così: disidentificarsi da un io posseduto è trascendenza; disidentificarsi da un io non posseduto è una doppia dissociazione.
La meditazione fa entrambe le cose.

Riassunto

Al fine di riassumere quanto esposto finora, ripercorrerò ancora una volta il processo di disconoscimento. Se questo vi è già chiaro, perdonatemi la ripetizione.
Abbiamo iniziato con la rabbia come esempio di un impulso-ombra. La rabbia inizia come una realtà in prima persona (la mia rabbia, sono arrabbiato, ho rabbia). Per varie ragioni – paura, auto-inibizione, giudizi del superego, traumi passati, ecc. – mi ritraggo dalla mia rabbia e la spingo dall’altra parte del confino dell’io, sperando così di non essere punito per il fatto di provare questa orribile emozione. “La mia rabbia” è diventata ora “la rabbia che guardo o a cui parlo, che sperimento, ma non è la mia rabbia!” Nel momento in cui la spingo via – quel momento di resistenza e contrazione – nel momento in cui la spingo via, la rabbia in prima persona è diventata una presenza in seconda persona nel flusso della mia coscienza in prima persona. Se la spingo via ancora di più, la rabbia diventa una terza persona: non sono più neppure in contatto verbale con la mia propria rabbia. Posso ancora provare questa rabbia in qualche modo – so che qualcuno è molto arrabbiato, ma siccome non posso essere io, devi essere tu, o lui, o lei, o quello. Adesso che ci penso, John è sempre arrabbiato con me! Non è giusto, perché io non mi arrabbio mai né con lui, né con nessun altro.
Quando spingo la rabbia dall’altra parte del mio confine dell’io, appare come un sentimento in seconda e terza persona che è tuttavia ancora all’interno del flusso di coscienza del mio io. Io posso ancora sentire la rabbia “di lui, o di lei, o di quello”. Se la proiezione funzionasse bene, dopo tutto, non proverei più quel sentimento e non avrei problemi di sorta. Mi sbarazzerei della rabbia, e sarebbe tutto a posto. Come amputarsi una gamba – via per sempre – per quanto doloroso, mi sarei liberato di fatto della gamba-rabbia. Ma il fatto è che sono connesso alla mia proiezione dalla proprietà segreta della rabbia (non è veramente un oggetto, è il mio stesso soggetto nascosto). Non è come tagliare la mia gamba, ma solo pretendere che si tratta della tua gamba. Non è la mia gamba, è la tua! Non è la mia rabbia, è la tua rabbia! (Ma questa è una grave disfunzione, non vi pare?)
Quindi, l’attaccamento nascosto o l’identità soggettiva nascosta dei “sentimenti degli altri” collega sempre la proiezione all suo proprietario attraverso una serie di dolorosi sintomi nevrotici. Ogni volta che io spingo la rabbia dall’altra parte del mio confine dell’io, quello che rimane al suo posto da questa parte del confine dell’io è un doloroso sintomo, una pretesa assenza dei sentimenti che sono stati alienati che lascia al loro posto la sofferenza psicologica. Il soggetto è diventato ombra è diventato sintomo.
Abbiamo dissociato o disconosciuto la rabbia all’interno del nostro flusso di coscienza dell’io. Questa rabbia può essere proiettata su altri “là fuori”. O può essere dissociata e proiettata su parti della mia stessa psiche, magari facendo emergere un mostro nei miei sogni, un mostro che mi odia sempre e vuole uccidermi. E io mi sveglio sudato da questi incubi.
Diciamo che io sono dedito a una pratica di meditazione molto sofisticata come quella del Buddhismo Tibetano (Vajrayana), e sto lavorando con la “trasmutazione delle emozioni”. Questa è una tecnica molto potente in cui il meditante contatta un’emozione negativa presente in quel momento, ne prende coscienza tramite la chiara e brillante consapevolezza non duale sempre presente, quindi lascia che l’emozione negativa si trasformi nella corrispondente saggezza trascendentale.
Quindi io inizio con il mio incubo, mi rendo conto che ho paura a causa del mostro. Di fronte al mostro, provo una grande paura. Quindi opero una trasmutazione di quell’emozione, vengo istruito a stare con quell’emozione, a rilassarmi in quella paura e quindi lasciare che si dispieghi e si sciolga nella sua corrispondente trasparente saggezza.
Tutto bene… A parte il fatto che la paura stessa è un’emozione non autentica e falsa (cioè il prodotto di una repressione) e trasmutare emozioni non autentiche non soltanto presume e rinforza l’inautenticità, ma le converte in ciò che possiamo chiamare saggezza non autentica, cioè saggezza che poggia su false basi. La repressione è ancora lì! Non è stato fatto nulla per risolverla. Perciò, ogni volta che tu sperimenti la rabbia, sarà proiettata per creare mostri intorno a te, cosa che farà emergere la paura in te (che è paura della tua propria rabbia, non paura del mostro), e tu contatterai la paura e trasmuterai la paura – non raggiungendo MAI la vera e autentica emozione della rabbia. Ti riapproprierai della non autentica emozione della paura, non della autentica emozione della rabbia.

Il processo 3-2-1: Riappropriarsi dell’Io prima di trascenderlo

Il processo terapeutica “3-2-1” che è stato sviluppato dall’Integral Institute per aiutare in questi casi consiste nel convertire questi mostri in terza persona (o “essi”) di nuovo in voci dialoganti in seconda persona (“tu”) – che è molto importante – e poi andare ancora oltre per re-identificarsi con quelle voci come realtà in prima persona di cui riappropriarsi e possedere di nuovo utilizzando, a quel punto, il monologo in prima persona, non il dialogo. Si termina dicendo: “Io sono un mostro molto arrabbiato che vuole ucciderti!”.
Facendo questo, si è ora in contatto con un’emozione autentica, che è rabbia non paura. Ora, si può praticare la trasmutazione delle emozioni, e tu trasmuterai emozioni autentiche e non emozioni false. La prima persona soggettiva si convertirà in prima persona oggettiva/possessiva – NON in seconda o terza persona – e quindi si potrà lasciar andare, trasmutare o liberare l’emozione – questo è il vero non attaccamento e la sana disidentificazione.
Facendo questo, avrete lavorato con la barriera della repressione che all’inizio ha convertito la rabbia in paura – non praticate semplicemente la meditazione vipassana sulla paura, non diventate testimoni della paura, non dialogate con la paura, non sperimentate direttamente la paura – tutte queste cose non fanno che sigillare l’ombra rendendo certo che essa rimarrà con voi per tutto il cammino verso l’Illuminazione e oltre. Se non si lavora con l’effettivo meccanismo della dissociazione (da 1 a 2 a 3) e con la riappropriazione terapeutica (da 3 a 2 a 1), la meditazione diventa un modo per entrare in contatto con il vostro infinito Sé, mentre si rafforza l’inautenticità del vostro io finito di ogni giorno, che ha rotto se stesso in frammenti e ha proiettato alcuni di essi su altre persone; questi frammenti disconosciuti e repressi nascondono, persino al sole della contemplazione, la mala erba dell’Ombra che dalle fondamenta saboterà ogni passo che farete da qui all’eternità…

Traduzione dall’inglese di Giovanna Visini