Crisi dell’editoria? Forse il punto è un altro

di NICOLA LAGIOIA | da il Venerdì de La Repubblica e minima et moralia

Nel 2011 in Italia è andata in crisi l’editoria libraria: secondo l’ISTAT si sarebbero volatilizzati 700mila lettori. Molti sarebbero tra l’altro lettori forti, quelli che acquistano più di dieci libri l’anno.
La recessione spiega molte cose ma può essere una scusa. Di più: le grandi crisi hanno di buono che impedisono ai modelli al capolinea di fingersi in salute. Che il sistema della diffusione del libro avesse imboccato un binario morto era chiaro da tempo. Ma solo il crollo dei fatturati trasforma le Cassandre in persone di buonsenso e causa incidenti lunguistici ai signori del vapore. Riccardo Cavallero, dg Mondadori, ha dichiarato che gli editori sono vicini al panico, non sono più in grado di controllare il mercato perché tra crisi e digitale oggi “il lettore se ne frega di quel che dici, è lui che decide. Non puoi più menarlo per il naso”.
Chiudendo il sillogismo: non sarà che molti di quei 700mila si sono stancati di essere menati per il naso? Non sarà che gli editori (tutti o quasi, beninteso) puntando sull’aumento di produzione e trascurando una vera politica culturale, hanno preferito l’uovo alla gallina? Aver inondato le librerie con migliaia di volumi, spesso pessimi per la regola dei numeri, aver preferito i salotti televisivi al lavoro sul territorio, l’exploit del megaseller al progetto di lungo corso, non può aver messo in fuga i lettori rimpiazzandoli con semplici clienti? I quali si sono poi volatilizzati ai primi venti di crisi. Tanto che ora c’è chi prova a far cassa agitando le sirene del self-publishing (tu paghi, noi stampiamo, nessuno leggerà).
Se dal privato si passa al pubblico la musica non cambia. Il governativo Centro per il Libro aveva grandi ambizioni: “ci prefiggiamo di aumentare in un decennio i lettori abituali di due punti percentuali”. A due anni di distanza il fallimento è lampante, e se è vero che il Centro riceve dallo Stato pochi milioni, per misurare la distanza dal paese reale basta contare i follower del suo profilo twitter: poco più di un centinaio, meno di un decimo di quelli di un blogger a costo zero.
Eppure negli ultimi anni, dal basso, si sono moltiplicate le iniziative a sostegno della lettura. Festival, riviste, associazioni, per non parlare della Rete. Perché non tenerne conto? La sensazione è che, come i politici preferiscono a volte le plebi ai cittadini, le classi dirigenti del mondo editoriale ritengono che sfornare consumatori sia più redditizio che formare lettori. Ma il banco alla lunga non paga. Per dirla con Isaiah Berlin: “la volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”.