Flavio Santi: su “Le teste”

Le-teste di Flavio Santi
[Pubblicato su Gli Altri del 6 dicembre 2009 e su Nazione Indiana il 31 dicembre 2009]

Senza timore di smentita pensiamo di essere stati i primi pubblicamente (sul sito di pordenonelegge.it e su rivista) ad avere preso sul serio Giuseppe Genna quando molti facevano spallucce di fronte ai suoi pseudothriller, incapaci di vedere le orbite di senso che via via si inanellavano come implacabili segnaletiche dei nostri tempi “devastati e vili”, per citare un altro suo titolo di imminente riedizione. Adesso, com’è giusto, Genna è uno scrittore a 360°, di punta, ma non dimentichiamoci che fino a qualche anno fa la maggior parte di coloro che ora fanno carole festanti intorno a lui non esitava a bollarlo riduttivamente come scrittore di genere. Ma questo è il solito malcostume italiano: vizi privati e pubbliche virtù. Memoria cortissima, e doppie verità a go go. Da questo punto di vista scrittori e critici non sono certo meglio dei tanto biasimati politici: sono semplicemente una fetta della grande torta avariata che è l’Italia.
È appena uscito Le teste (Mondadori, Milano, 2009, pp. 394, € 18,00), che ha suscitato reazioni varie e maree più o meno destabilizzanti. Perché? Perché Genna, rischiando di deludere da una parte l’appassionato di thriller, e dall’altra il lettore più generalista, non appaga le aspettative di nessuna di queste due categorie cosiddette forti, alimentandosi soltanto della sua ispirazione sempre più psicotropa. Insomma getta a mare il galateo perbenista che vuole il massimo rispetto di regole e lettore (“suvvia, siamo in un sistema di mercato dove vige la legge della domanda e dell’offerta e tu devi scrivere un libro di genere!”), getta a mare tutto ciò e fa l’unica cosa che dovrebbe fare uno scrittore: scrive. Senza condizionamenti. Liberamente. Appassionatamente. Dolorosamente. Le teste è l’ultimo, a detta del sottotitolo (L’ultimo thriller), tassello della serie dedicata all’ispettore Guido Lopez, ed è anche il testo più complesso – insieme probabilmente a Grande Madre Rossa del 2005. Mentre i primi due della serie, Nel nome di Ishmael (2001) e Non toccare la pelle del drago (2003), privilegiavano la narrazione adrenalinica a dispetto di altre possibili tracce (presenti, certo, ma in maniera o troppo evanescente o troppo criptica), gli ultimi due della serie, Grande Madre Rossa e Le teste, sviluppano notevolmente, insieme alla trama complottistica ricca di suspense e dei tradizionali colpi di scena, un secondo o più testi paralleli. In Grande Madre Rossa tale sottotesto era costituito da un fitto reticolo di allusioni alla poesia di Pasolini, Zanzotto e Celan. Una sorta di ipertesto con una ragnatela di link più o meno espliciti (che è, in fondo, a ridurla all’osso, la poetica di Genna). Nelle Teste il discorso si fa ancora più articolato. Di solito quando si recensiscono i thriller si fanno i salti mortali per non dire nulla della trama vera e propria, per non rovinare l’unico punto di forza del libro. Qui il problema non si pone, perché, oltre alla consueta trama “di genere”, che come prassi impone non sveleremo, la carne al fuoco, come si suol dire, è molta. Cercheremo di dare qualche rapido assaggio. Dunque alle parti del thriller, rigorosamente in terza persona, si alternano capitoli, più o meno brevi, di solito in prima persona, di riflessione e meditazione filosofica – per dirla in maniera succinta e forse un po’ grossolana. In questi capitoli si è in continuazione sulla soglia dell’indicibile cui Genna è da sempre dantescamente proteso: si riflette sull’impossibilità di raccontare la propria esperienza, il proprio essere qui e ora, il proprio solidificarsi in un corpo, una persona, una storia. Si riflette su questi argomenti nell’unico modo concesso all’essere umano: “per speculum” come dice Paolo di Tarso, cioè per immagini e figure. In queste parti Genna incrocia vertiginosamente la tradizione neoplatonica occidentale (ad es. Plotino e Marsilio Ficino) con quella orientale (e dunque i Veda, Rumi, la filosofia induista), per sviluppare una riflessione sul problema dell’essere, di cui la testa diventa il simbolo per eccellenza. I piani temporali saltano, e solo alla fine, nei Ringraziamenti, scopriamo che l’ultimo thriller in realtà è il primo, gli anni passano come secondi e i secondi come anni, Guido Lopez è Genna stesso, e Genna è in realtà Guido Lopez, noi lettori siamo gli scrittori stessi del romanzo che stiamo leggendo, perché dobbiamo continuamente decifrare e interpretare le tracce che ci si presentano davanti. Il romanzo diventa così un immenso ipertesto, una specie di open source della letteratura, e noi non possiamo che essere grati a Giuseppe Genna per il coraggio, l’audacia, la generosità e l’antica fedeltà.